L’uso dell’androne condominiale (e più in generale di un bene comune) è spesso oggetto di quesiti da parte dei condòmini. Che cosa deve conoscere l’amministratore di condominio per prepararsi alla riunione condominiale?
Mi viene sottoposto infatti il seguente quesito: “Un condomino, a seguito di ristrutturazione, ha installato la macchina del climatizzatore/pompa di calore, all’interno dell’unità su proprietà privata che getta l’aria sull’androne condominiale. E stamane, alla prima accensione, c’e già stato un lamentio da parte di alcuni soggetti”.
La problematica esposta non ha una soluzione precisa. Cercherò quindi di fornire tutti gli strumenti utili per l’amministratore che dovrà affrontare queste tematiche nella riunione di condominio.
Come sarà certamente noto, l’androne (ovvero il luogo di passaggio interposto tra il portone dell’edificio e le scale condominiali, che ha la funzione di mettere in collegamento la pubblica via con le scale condominiali, i locali della portineria ed in generale con le altre parti dell’edificio) non è menzionato dall’art. 1117 cc. tra le parti comuni di un edificio in condominio.
La Corte di Cassazione, ormai da diverso tempo, ha tuttavia confermato che l’elencazione delle parti comuni contenuta nella norma appena citata ha carattere meramente esemplificativo (ex multis Cass. 18 settembre 2009 n. 20249).
In ragione di ciò, sempre la Corte di Cassazione ha specificato che debbono considerarsi di proprietà comune tutte quelle parti che rispetto alle unità immobiliari di proprietà esclusiva si pongano in un rapporto di accessorietà tale da essere funzionali al miglior godimento delle prime.
Della condominialità dell’androne non c’è quindi ragione di dubitare, in quanto la sua funzione è quella di consentire il passaggio dal portone comune agli appartamenti o comunque alle scale dell’edificio. L’androne fa quindi parte integrante dei beni condominiali. L’unica eccezione è eventualmente una riserva di proprietà esclusiva a favore di uno i più condomini contenuta nel titolo, ossia negli atti d’acquisto e/o nel regolamento condominiale contrattuale.
Quindi innanzitutto la prima cosa di cui si dovrà accertare l’amministratore è verificare nel concreto di chi è l’androne in questione.
Una volta constatato che l’androne è parte comune, il secondo passaggio logico da compiere è domandarsi: come si può utilizzare?
La funzione primaria dell’androne è quella di fare accedere alle unità immobiliari, quindi il suo utilizzo come “canale di sfogo dell’aria proveniente da un climatizzatore” è un utilizzo del bene per una funzione totalmente diversa.
L’uso delle cose comuni per fini individuali è garantito dell’art. 1102 c.c. che dispone: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa. Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso”.
In primo luogo questo significa che il condomino, nell’usare la cosa comune, deve rispettarne la destinazione: in generale ad esempio, se il cortile è adibito solo al passaggio, egli non può utilizzarlo come parcheggio o deposito all’aperto, impedendo il transito degli altri condomini. Questo è il limite di destinazione nell’uso.
La giurisprudenza ritiene anche che, sussiste “alterazione” dei beni comuni, solo allorché le modificazioni apportate a tali beni rendano impossibile o comunque pregiudichino apprezzabilmente la loro funzione originaria, e non già quando l’utilità tratta dal singolo condomino si aggiunga a quella originaria, cioè quando il godimento del singolo condomino, pur potenziato e reso più comodo, lasci immutata la consistenza e la destinazione originaria (in tal senso, cfr., fra le altre, Cass. sent. 11936 del 23.10.’99).
In secondo luogo, il condomino non deve e non può impedire agli altri condomini di usare il bene comune nella medesima misura. Un altro concetto di grande importanza è dato dalla “parità” del diritto di uso delle parti comuni spettante a tutti i condomini, anche a quelli che, agli effetti pratici, non utilizzano un determinato bene o impianto condominiale. Il diritto di uso delle parti comuni spetta quindi a tutti i partecipanti al condominio in quanto tali.
Rispetto a questa norma la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che «con riferimento al condominio la norma consente, infatti, la più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l’altrui pari uso. […] In considerazione del rapporto strumentale di cui si è detto fra l’uso del bene comune e la proprietà esclusiva, che caratterizza il condominio, non sembra quindi ragionevole individuare a carico del diritto del singolo condomino, che si serva delle parti comuni in funzione del migliore e più razionale godimento del bene di proprietà individuale, limiti e condizioni estranei alla regolamentazione e al contemperamento degli interessi dei partecipanti alla comunione secondo i parametri stabiliti dalla specifica disciplina ai riguardo dettata dall’art. 1102 c.c.» (così Cass. 21 dicembre 2011, n. 28025).
Con riferimento al condominio la norma consente quindi la più intensa utilizzazione dei beni comuni in funzione del godimento della proprietà esclusiva, purché il condomino non alteri la destinazione del bene e non ne impedisca l’altrui pari uso. In altri termini, l’estensione del diritto di ciascun comunista trova il limite nella necessità di non sacrificare ma di consentire il potenziale pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti.
Questo equilibrio, sfugge alle tipizzazioni normative aventi carattere generale.
Vi è poi un’altra limitazione all’utilizzo della comune, costituita dal regolamento condominiale. Il singolo condomino, ad esempio, non può occupare l’area cortiliva con una vettura assumendo che ciò non impedisce il pari uso degli altri condomini se il regolamento lo vieta espressamente. Un regolamento contrattuale, in quanto accordo tra tutti i condòmini, può arrivare fino a vietare a priori l’utilizzo dell’androne per questa funzione, vincolando, ove richiamato nei successivi atti d’acquisto, anche gli acquirenti successivi ai primi sottoscrittori.
Nel caso specifico, mi pare di capire che il condomino non impedisce l’utilizzo dell’androne agli altri condomini, ma è pur vero che lo usa per uno scopo totalmente differente. Detto utilizzo può dirsi che crei un’alterazione, una modifica della destinazione del bene?D
L’art. 1130 Cod. Civ. dispone poi che l’amministratore deve disciplinare l’utilizzo delle parti comuni e la prestazione dei servizi in modo da assicurarne il miglior godimento a tutti i partecipanti
L’assemblea può, a sua volta, disciplinare l’utilizzo delle parti comuni, integrando o modificando il regolamento condominiale. Ovviamente le delibere assembleari possono solo regolamentare l’uso del bene comune: esse non possono di certo limitare i diritti di utilizzo dei condomini e devono comunque essere logiche e ragionevoli. Difettando tali imprescindibili condizioni la delibera sarà illegittima e ben si potrà impugnare davanti all’Autorità Giudiziaria.
La valutazione della legittimità della modalità d’uso dell’androne, come di qualunque altra parte comune, dev’essere eseguita ai sensi dell’art. 1117-quater c.c. secondo cui: “In caso di attività che incidono negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, l’amministratore o i condomini, anche singolarmente, possono diffidare l’esecutore e possono chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie. L’assemblea delibera in merito alla cessazione di tali attività con la maggioranza prevista dal secondo comma dell’articolo 1136 c.c.”. L’onere di provare tali negative incidenze spetta a chi le invoca e dovranno essere risolte di volta in volta dalla magistratura, al cui eventuale esame saranno sottoposte. P
Per concludere, l’installazione della macchina del climatizzatore/pompa di calore, non richiede la preventiva autorizzazione dell’assemblea di condominio, trattandosi di un utilizzo della proprietà privata (l’appartamento) secondo i poteri che la legge consente al titolare dell’immobile. Esistono comunque dei limiti da rispettare. Elenchiamo i punti che sembrano necessario nel caso concreto analizzato:
1) Avvisare in anticipo l’amministratore di condominio. Il codice civile, difatti, stabilisce che chi effettua lavori all’interno del proprio appartamento, deve darne comunicazione all’amministratore; quest’ultimo, a sua volta, dovrà informare di ciò l’assemblea. L’art. 1122 c.c. infatti recita: “Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. In ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea”.
2) Di solito il condizionatore è fonte di litigi in condominio per la sua rumorosità. Nel caso concreto è il calore a creare il problema. Pare infatti che l’installazione crei un’immissione di calore negli spazi comuni. Questo calore si diffonde anche nelle proprietà altrui? In materia di immissioni, la normativa generale di riferimento è quello disposta dall’art. 844 cc, a mente del quale, «il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi». La valutazione sulla tollerabilità o meno delle immissioni ex art. 844 c.c. è rimessa al giudicante.
Abbiamo tralasciato la questione del decoro dell’edificio che non mi pare sia stata messa in discussione, così come anche l’aspetto della sicurezza, anch’esso non menzionato.
Avv. Valentina Giannini